Interventi

10 Luglio 2015

Il perché delle Regioni in Europa

8 luglio 2015 – Bruxelles, Cor-Comitato delle Regioni Intervento di Simonetta Saliera Presidente Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna Grazie Presidente, gentili ospiti, colleghe e colleghi PREMESSA Permettetemi una premessa. Pensare che l’Unione europea sia oggi somigliante al progetto degli europeisti che l’hanno fondata nel secolo scorso è impossibile. Il plateale fallimento nella ricerca di una politica comune -e sensata- a fronte di un fenomeno storico come le immigrazioni di massa, dimostra che nell’Ue non è abbastanza radicata una cultura politica comune in capo agli Stati membri, né una leadership autentica capace di imporsi agli Stati membri. In questo contesto il referendum di domenica scorsa in Grecia deve fare molto riflettere. L’Europa è nata su ideali ben diversi, che parlano di difesa dei diritti e di accoglienza. Non si possono rimettere in discussione questi princìpi sanciti da tutti i trattati che sono alla base dell’Unione. Basta ricordare che il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea definisce l’Europa come uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali” e prevede, all’articolo 78, che l’Unione Europea debba sviluppare “una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta ad offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento”.

COSA FA IL COR All’interno di questo quadro normativo e con l’ambizioso obiettivo di dare una risposta a questo immane problema, i lavori per la definizione di un'agenda europea globale sulla migrazione sono stati aperti dalla Commissione europea il 5 marzo 2015; la gestione della migrazione figura, per la prima volta fra le priorità esplicite della Commissione europea. Con la pubblicazione dell'Agenda, la Commissione intende fornire una risposta europea alla situazione di crisi in atto nel Mediterraneo, che combini politica interna ed estera e coinvolga tutti gli attori interessati, non solo gli Stati membri, ma istituzioni europee, organizzazioni internazionali, la società civile, autorità locali e paesi terzi. In questo contesto complicato si pone l’azione del Comitato delle Regioni, il quale nel suo ruolo di, permettetemi la licenza, “suggeritore” ha in essere due procedimenti: una risoluzione e un proprio parere sull’agenda europea. La risoluzione, nata dall’esigenza del Comitato di esprimere la sua voce all’indomani delle tragedie nel mediterraneo era stata proposta nella sessione plenaria dello scorso giugno ma dato il considerevole numero di emendamenti proposti non si è riusciti a votarla. E’ stata quindi riproposta nell’odg di questa sessione ed è stata approvata. In parallelo possiamo citare anche la risoluzione sul post-Lisbona dove (io stessa ho chiesto e ottenuto di poter porre) l’accento (è posto) su una rafforzata politica estera comune in grado di affrontare non solo le emergenze e le sfide ma soprattutto le opportunità che si presentano ai nostri confini. Tornando al parere del CdR, questo è stato assegnato al presidente della commissione CIVEX il francese Decoster il quale ha proposto un testo sul quale si sta lavorando. Vi illustro i contenuti sapendo che sarà oggetto di emendamenti. Il parere si fonda sul presupposto che il CdR si trova nella posizione ideale per dialogare con le città e le regioni di tutta Europa ed è nelle condizioni di agevolare e incoraggiare lo scambio di idee e pratiche innovative nella definizione e attuazione delle politiche in materia di immigrazione e integrazione. Non dobbiamo dimenticare che ogni proposta deve essere fondata sull’analisi dei dati, sia quelli correnti che le previsioni per il futuro. E tenendo conto di questo il parere affronta sia la parte emergenziale che quella di medio lungo periodo. Per l’emergenza la parola d’ordine è solidarietà tra paesi. Responsabilità e solidarietà infatti non possono e non devono essere disgiunte. E su questo chiediamo una maggiore chiarezza. È evidente che i singoli Stati, regioni e comuni hanno una visione assai diversa di ciò che, alla luce delle loro specifiche condizioni e aspirazioni, può essere considerato come solidarietà o responsabilità equamente condivisa. Non è possibile pensare di affidarci a meccanismi volontari di accoglienza. Dobbiamo poter contare su un sistema di accoglienza attivabile in qualsiasi momento e pienamente condiviso e vincolante. Allo stesso tempo per facilitare i rimpatri, quando necessari, o diminuire le partenze, quando possibile, e poter scindere serve essere interlocutori credibili e collaborativi con i paesi d’origine. Per quanto riguarda un approccio di medio lungo periodo i dati ci dicono che l’Europa continuerà a fungere da magnete. I flussi si prevede possano raddoppiare nei prossimi 35 anni con o senza un sistema legale e funzionante di accoglienza. All’interno del parere si plaude ovviamente all’aumento delle dotazioni finanziare, ma si pone l’accento anche sulle sinergie necessarie e sulla necessità della messa in comune dei dati per facilitare identificazione dei migranti e mettere in piedi quel sistema integrato e funzionante appena citato. Particolare attenzione è posta al tema delle rotte sicure e legali verso l’UE e dell’apertura di corridoi umanitari e come enti locali desideriamo contribuire a garantire l’attuazione piena e coerente del sistema europeo comune di asilo. Il parere sarà in votazione alla plenaria di ottobre ed io, insieme alla delegazione italiana sto lavorando per proporre: - Sponsorship – da aprire o riattivare – ad opera di associazioni, Chiese, privati, parenti per i richiedenti asilo: si chiama direttamente dai Paesi di partenza o di transito (si può cominciare con Siria, Iraq, Libano attraversati dalla guerra) evitando i rischiosissimi viaggi della speranza. Lo sponsorship garantirebbe accoglienza e assistenza per il rifugiato, per un periodo determinato. - Humanitarian desk: accoglienza da parte di alcuni Paesi europei (o da parte dell’Unione) dei richiedenti asilo già arrivati in alcuni Paesi, come Marocco o Libano. Si tratta di persone che sono già uscite dal loro Stato, hanno già fatto una parte del viaggio, ma eviterebbero comunque l’ultimo tragitto, quello in mare. - Modificare gli accordi di Dublino allargando le maglie che obbligano a chiedere asilo solo ai Paesi di arrivo. Occorre ricordare che molti casi potrebbero essere risolti con i ricongiungimenti familiari. - Visti per motivi umanitari per chi non è ancora entrato in Europa: è previsto dall’articolo 25 del regolamento europeo dei visti. Ogni Paese può concederli autonomamente. - Permessi per motivi umanitari, ai sensi dell’art. 20 della legge italiana sull’immigrazione, per coloro che sono già in Italia. E’ una decisione che può prendere il presidente del Consiglio con un decreto. Dà la possibilità di lavorare. E’ successo già per alcune nazionalità, come per esempio gli albanesi che oggi sono largamente integrati in Italia (ma anche per ex jugoslavi, tunisini ecc.) - Incrementare i fondi per la cooperazione in modo da intervenire nei Paesi di origine dei flussi migratori UN DATO EMILIANO ROMAGNOLO Vi vorrei ora dare un dato di casa mia. Nel 2014 sono circa 616mila i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in regione si tratta del 13,8% della popolazione complessiva residente in Emilia-Romagna. Oltre la metà dei comuni della nostra regione ha oltre il 10% dei residenti stranieri. Il fenomeno migratorio in Emilia-Romagna assume sempre più caratteristiche di stabilizzazione, evidenziate in particolare da una maggiore presenza di persone titolari di permessi di soggiorno di lungo periodo, da una crescita delle acquisizioni di cittadinanza e degli studenti nel sistema scolastico, da un aumento dell’incidenza percentuale dei nuovi nati stranieri e dei lavoratori occupati e da una crescita delle imprese individuali con titolare straniero. Nell’anno scolastico 2013/2014 l’Emilia-Romagna accoglie nelle proprie scuole 93.434 studenti stranieri di cui oltre la metà nati in Italia. Si conferma al primo posto fra le regioni italiane per incidenza di alunni stranieri (15,3% del totale, a fronte di una media nazionale del 9,0%). Nel corso del 2013 sono 343.987 lavoratori dipendenti stranieri occupati in Emilia-Romagna, pari al 19,4% dei lavoratori complessivi. Oltre la metà (52,2%) degli occupati stranieri lavora nel macro-settore dei servizi (valore percentuale in linea con quello del 2012). Seguono l’industria (32,7, in flessione di oltre due punti percentuali rispetto all’anno precedente) ed infine, in lieve crescita l’agricoltura (10,2%). L’apporto dei lavoratori stranieri è importante non solo sul versante produttivo, ma anche su quello fiscale, contributivo e dei consumi. Significativo è anche l’aumento del numero di persone che hanno acquisito la cittadinanza italiana. Nel 2013 i nuovi cittadini sono 14.193 con un incremento rispetto all’anno precedente del +62,3%. L’ammontare economico contributivo generato dal lavoro degli stranieri risulta di oltre 900 milioni di euro, mentre il gettito fiscale complessivo dei lavoratori stranieri si può valutare in oltre 500 milioni di euro, per un totale di oltre 1 miliardo e 400 milioni di entrate. Questi dati ve li riporto semplicemente per avvalorare l’affermazione che gli enti locali e regionali sono nella posizione di fornire gli elementi concreti all’inquadramento del problema e delle possibili soluzioni. CONCLUSIONI Per concludere il pensiero con il quale ho aperto questa mia presentazione, la Comunità europea, oggi Unione europea, è nata sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale e dall’urgenza di trovare una pacificazione all’interno dei nostri territori, ma si è sviluppata negli anni dell’abbondanza e grazie a questa abbondanza ha potuto forse un poco tralasciare sulla condivisione di una cultura e di un progetto solidale comune. Quando, causa la crisi economica questo elemento è venuto meno i nodi hanno cominciato a venire al pettine (un accenno lo abbiamo visto col naufragio dell’ambizioso progetto di una Costituzione europea). Da allora le istituzioni sono in affanno e con esse l’azione politica. Ma i problemi epocali come quello delle migrazioni non sono risolvibili nel vecchio quadro degli Stati nazionali. Considerando, poi, il decremento di natalità già in atto nell’intera Europa, i flussi migratori legali potranno essere un’opportunità da cogliere per la nostra economia. Auspichiamo e collaboriamo affinché l’UE sia in grado di dare la risposta che, più che necessaria, definirei indispensabile.

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