Interventi

30 Marzo 2015

Il riordino che unisce

Il riordino che unisce 30 marzo 2015 – Iniziativa organizzata dalla Scs di Bologna Saluto di Simonetta Saliera Presidente dell’Assemblea legislativa regionale Buongiorno, porto il saluto dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna a questo vostro convegno con al centro un tema che sta a cuore agli operatori economici, ai rappresentanti dei lavoratori, all’intero sistema della Pubblica Amministrazione. Ai tanti sindaci e assessori che ogni giorno sono in prima linea nel cercare di dare risposte ai bisogni sempre maggiori dei nostri concittadini. Nel nostro Paese, di riforme dell’assetto dello Stato e delle sue diramazioni periferiche, si parla da oltre 30 anni.

Ovvero, dai tempi della Prima Commissione sulle Riforme che vide la presenza, fra gli altri, di parlamentari illustri come i professori Augusto Barbera, Gianfranco Pasquino e Roberto Ruffilli. Quella Commissione aveva l’ambizione di “rendere il cittadino arbitro delle istituzioni”. Si voleva, cioè, invertire quella tradizione dello Stato italiano, di vedere il cittadino gerarchicamente subordinato allo Stato e alle sue burocrazie. Tutti sappiamo che si è tanto parlato e poco si è fatto. L’unica vera stagione riformatrice è stata quella della seconda metà degli anni ’90 quando, sotto l’impulso del ministro Franco Bassanini, si è proceduto a dare piena voce alla Costituzione della Repubblica e alla valorizzazione delle Regioni come punto di autonomismo. Mi riferisco alle “deleghe ex Bassanini”, ovvero materie che lo Stato centrale ha “trasferito” alle Regioni con le relative risorse. Peccato che nel 2010 il Governo Tremonti-Berlusconi abbia lasciato alle Regioni le deleghe, ma trattenuto per sè le risorse finanziarie che di fatto hanno svuotato la loro concreta attuazione. Si sono, poi, prodotte, manovre finanziarie tese a colpire l’autonomia decentrata degli Enti Locali, in un Paese impreparato davanti alla crisi, mentre i governi non hanno saputo far altro che somministrare l’amara e inutile medicina di un “rigore senza crescita”. Il fallimento di queste politiche lo abbiamo visto fino a ieri nell’aumento dei disoccupati, in chi ha perso la speranza, in chi ha visto fallire aziende e imprese per l’anoressia di accesso al credito. Siamo passati dalla demagogia del federalismo, dalla logica dell’ente virtuoso dai parametri di riferimento come costi standard e livelli assistenziali comuni, a considerare il sistema delle autonomie, invece come un Bancomat a cui attingere per sfamare l’avidità del debito pubblico. Non si sono presi in considerazione gli apparati statali autoreferenziali, bulimici ed incapaci di capire il dramma che viene dal Paese reale. Nell’ultimo anno, grazie alla collaborazione tra governo centrale e sistema delle autonomie, si è ripreso un percorso riformatore e di chiarezza. Mi riferisco alla proposta di riforma costituzionale, alla legge elettorale, alla legge Delrio, con la realizzazione delle Province di secondo livello e le tanto attese città metropolitane. E’ stata una fiammate innovatrice che, però, ha dovuto fare subito i conti con i tagli imposti dall’ultima legge di stabilità. Uno scenario ben noto a tutti i sindaci, metropolitani e no, che si trovano a dover fare i conti con bilanci ridotti all’osso e in debito di liquidità per via dei mancati trasferimenti statali. Al Sistema delle Autonomie si è lasciato il compito di gestire i servizi, di dare spiegazioni alle ansie dei cittadini, ma le risorse sono state, nuovamente, risucchiate nel vortice del debito pubblico nazionale e dei vincoli europei. E’ un paradosso che, come potranno confermare coloro che parleranno dopo di me, deve essere superato. Questa premessa è doverosa per capire quanto sia stato ancora più difficile lo sforzo fatto nel quadriennio 2010-2014 dalla Regione Emilia-Romagna per un riassetto dell’ordinamento territoriale, del rapporto tra Comuni, loro forme associate, Province e Regione. Un lavoro certosino, fatto di centinaia di incontri sul territorio che ben si accompagna alle normative che la nuova amministrazione regionale sta approntando per dare corso ai dettami delle legge Delrio. Lo scorso quadriennio, infatti, è stato caratterizzato da una forza riformatrice nella nostra Regione. Grazie al confronto con le parti sociali e i sindaci, la Regione ha anticipato un percorso che è stato utile, per sua stessa ammissione, anche al ministro Delrio. Unioni e fusioni di Comuni per liberare risorse: per i servizi alla persona, il sostegno alle imprese, al lavoro e la cura del territorio. Sarà che in Emilia-Romagna le riforme si fanno e non si predicano. Grazie alla legge regionale 21 del 2012, si sono soppresse le ultime 10 Comunità montane, da Piacenza a Rimini sono nate 46 Unioni che raggruppano i 340 Comuni dell’Emilia-Romagna (già calati dai 348 del 2011 a seguito delle 4 fusioni di 12 Comuni attive dal primo gennaio 2014). Si semplifica così il quadro istituzionale: ogni Comune potrà ottimizzare le risorse umane riorganizzando i propri servizi. Un esempio semplice: la polizia municipale. Avere il servizio in Unione significa un solo comandante, un unico ufficio centrale per tutti (stazione radio, mezzi e strumenti), unificazione delle pratiche burocratiche, maggiore possibilità di avere un servizio più lungo e continuativo sul territorio. In Emilia-Romagna, dunque, oltre il 90% della popolazione ora vive o in Comuni capoluogo (quindi di grande dimensione) o in Comuni associati in Unioni. Il processo di riordino ha raggiunto livelli di realizzazione anche in territori come quello ferrarese, quello parmense e quello piacentino neofiti di questi processi e senza quelle esperienze precedenti e radicate come in altre parti della regione. L’associazionismo ha raggiunto anche le realtà montane dove i Comuni sono più piccoli e distanti da loro. Ci siamo mossi per tempo in modo da arrivare al meglio all’avvio delle recenti riforme istituzionali. Nel frattempo sono state concluse, su base volontaria dei Comuni interessati e a seguito di referendum consultivo, 4 fusioni di 12 Comuni (Valsamoggia, Sissa Trecasali, Poggio Torriana, Fiscaglia), Comuni che saranno esenti per i primi tre anni di vita dai vincoli del patto di stabilità e per i primi 15 riceveranno contributi statali e regionali straordinari. E anche la nuova legislatura si è aperta all’insegna di un sostegno alle aspettative dei territori. Sono stati, infatti, varati i due progetti di legge relativi alle fusioni di Porretta e Granaglione nel bolognese e di quattro Comuni (Ligonchio, Busagna, Collagna e Ramiseto) sull’Appennino reggiano. Si è inoltre costituita la città metropolitana di Bologna, già politicamente operativa. La Regione ha in cantiere la nuova legge di riforma del sistema di governo regionale e locale, in grado di recepire le innovazioni previste dalla legge Delrio, ridefinendo le funzioni in capo a Regione, e via via a tutto il sistema degli Enti Locali. Tocca a noi, oggi, saper interpretare nel modo più efficace la riforma che porta in se il principio della semplificazione e della riduzione dei costi. Tocca a noi definire il livello più adeguato, più appropriato, più utile per una gestione la più efficiente possibile delle funzioni delegate. Tocca a noi agire per costruire un sistema istituzionale in cui i cittadini e le imprese abbiano, nelle loro azioni con la Pubblica Amministrazione, un unico ed esclusivo interlocutore e quindi assumerci la responsabilità di definire “chi fa cosa e come lo fa”. Tocca a noi cogliere la sfida per darci un impianto legislativo semplice e trasparente che sappia contrastare possibili fenomeni corruttivi e far emergere una “Regione sistema” attraente e capace di indurre lavoro e equità sociale. Gli interventi previsti dal programma daranno modo di entrare nello specifico delle varie, complesse e nuove problematiche che la riforma pone. Vi ringrazio e vi auguro un proficuo lavoro.

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