5 Aprile 2014
I criminali temono più la scuola della giustizia
I criminali temono più la scuola della giustizia
La Repubblica – 5 aprile 2014
Intervento di Simonetta Saliera
Vicepresidente della Regione Emilia-Romagna
Il 21 marzo scorso, in tante piazze dell’Emilia-Romagna, Libera ha ricordato, nome per nome, le centinaia di vittime innocenti della mafia.

Vogliamo ricordare che sono passati tre anni dall’entrata in vigore di due Leggi regionali aventi lo scopo, l’una di contrastare l’inserimento della criminalità organizzata nel settore dell’edilizia e della logistica e, l’altra, di creare la più vasta conoscenza possibile del fenomeno mafioso nella mentalità comune dei nostri cittadini e della comunità in cui viviamo. Eppure, nonostante l’impegno della Regione Emilia-Romagna, degli Enti Locali, delle associazioni delle forze di polizia, della magistratura, mi sento in grado di dire che non siamo riusciti a creare quei muri invalicabili per sbarrare l’inserimento delle attività criminose sul nostro territorio. Colpa di inettitudine o di sottovalutazione del problema? Per quanto ci riguarda è difficile dirlo perché già dal 1995 nell’ambito del progetto “Città sicure” monitoriamo non solo la criminalità, la microcriminalità ma anche, quando ci riusciamo, i fenomeni delle varie criminalità organizzate. La mafia è come un’anguilla che sa rinnovarsi e prosperare nelle limacciose paludi e nel contempo attraversare limpidi oceani. Queste considerazioni servono per dire che diverse sono le prospettive del fenomeno mafioso e organizzato che la legge regionale intende affrontare. Gli interventi si concentrano sulla prevenzione laddove si può indebolire il tessuto sociale “sano” e c’è la paura di delegittimazione delle istituzioni locali, da sempre rilevanti torri di guardia, contro il radicarsi di culture e pratiche mafiose. Come era solito dire Giovanni Falcone: la lotta alle mafie va iniziata ancora prima, in una fase precedente al contrasto investigativo e militare alle organizzazioni criminali, mirando a prevenire l’affermarsi della cultura mafiosa. È necessario che al posto della gramigna cresca un campo di grano coltivato. È difficile, ma non impossibile come, ad esempio, ci ha insegnato “Libera” che, con la cooperativa “Libera Terra”, mette a dimora la speranza della crescita della pianta della legalità e del lavoro come liberazione. Ma, nel mondo della criminalità organizzata, non sono tollerate oasi di pace e di indignazione. Per questo è importante che si rafforzino e si possano allargare queste oasi attraverso l’estendersi della conoscenza del fenomeno e, con essa, rafforzare un tessuto sociale sano con il risveglio delle coscienze e del coraggio civile. Anche in questo caso diventano fondamentali le politiche delle Pubbliche Amministrazioni che oppongono alla mafia dei delitti una linea concreta di antimafia dei diritti in tutto il proprio raggio d’azione. Il giudice Nino Caponnetto, capo del pool di Palermo che aveva fra i suoi collaboratori Falcone e Borsellino, una volta andato in pensione girò instancabilmente per spiegare cos’è la mafia e come la si combatte. Il suo concetto era: la mafia teme più la scuola che la giustizia.

La mafia teme le persone libere, perché la loro libertà si trasforma in impegno e in aiuto per chi libero non è. L’istruzione, la libertà individuale, la difesa della democrazia, l’etica dello Stato nei confronti dei propri cittadini, il rispetto della dignità delle persone e la reciproca solidarietà concreta sono gli ingredienti del concime da spargere in quel campo di grano, senza i quali la gramigna può tornare ad avere il sorpavvento. È il momento di dimostrare tuta la nostra avversità al fenomeno criminoso rafforzando la nostra difesa, non come slogan, ma nella realtà. Nella realtà quotidiana. Combattiamo affinché non si permetta che concetti come violenza e distruzione ci passino accanto, ignorati, nel sentiero della nostra vita.