Interventi

27 Febbraio 2014

Caserme Rosse e don Salmi

Caserme Rosse e don Salmi

 

27 febbraio 2014 – Anniversario dell’eccidio delle Caserme Rosse

 

Intervento di Simonetta Saliera

 

Vicepresidente della Regione Emilia-Romagna

 

Buongiorno a tutti,

 

ringrazio per l’invito che avete rivolto alla Regione Emilia-Romagna ad essere presente qui oggi a commemorare una delle pagine più laceranti della nostra storia cittadina.

Un saluto particolare va a Armando Sarti e agli amici dell’Anpi che, con grande passione, continuano a tenere vivo il valore della Resistenza e della democrazia. È importante la sensibilità degli insegnanti e la partecipazione degli studenti, a questa dolorosa ricorrenza, in quanto non tutti a Bologna, oggi, vogliono rammentare la barbarie della guerra civile e le forze della resistenza ad essa contrapposta da molta parte della cittadinanza che voleva affermare  i diritti alla libertà, alla democrazia sociale, alla dignità umana. Qui, in questo luogo che fu di disperazione, ma anche di resistenza e di solidarietà, la Storia ha dimostrato che non è vero che non c’è differenza tra il bene e il male. Soprattutto ha dimostrato la mancanza di valori morali ed etici di coloro che in nome della dittatura fascista e dell’occupazione nazista perseguitavano i loro stessi concittadini. Se l’Italia è oggi una Repubblica democratica è perché ci fu quel movimento di popolo, chiamato Resistenza, che rifiutò e combattè quell’aberrante concezione dello Stato. Perché ci furono uomini e donne che, a rischio della vita, seppero lottare contro il fascismo e il nazismo. Uomini, donne di diverso orientamento politico: comunisti, socialisti, laici, democristiani, militari e monarchici che scelsero in quale campo stare: quello della libertà, della democrazia e del rispetto della persona. Ci fu chi lottò per questi ideali. Ci fu, invece, chi lottò per la dittatura, i campi di sterminio e la morte. Mai come in questo luogo questa differenza è chiara. La storia parla da sola: dopo l’armistizio del 1943, l’occupazione nazista e la nascita della Repubblica di Salò, si intensificarono i rastrellamenti e gli eccidi sulla popolazione e su quanti, giovani e militari, non vollero tradire l’Italia e si arruolarono sotto il rinato esercito Italiano e, molto più numerosi, in quel movimento di popolo che fu la Resistenza. È in questo clima che i nazifascisti miserono in funzione il campo di trasferimento delle Caserme Rosse di via Corticella. Tra i primi ad essere imprigionati in questo lager, furono i carabinieri di stanza a Roma che il 25 luglio 1943 avevano arrestato Mussolini per ordine del re e successivamente si erano rifiutati di partecipare al rastrellamento del ghetto ebraico della capitale che portò alla strage delle Fosse Ardeatine. Le Caserme Rosse si riempirono di prigionieri razziati durante i rastrellamenti, soprattutto nella città e sull'Appennino toscano ed emiliano. Nel solo periodo tra giugno e ottobre 1944 transitarono alle Caserme Rosse circa 35.000 prigionieri. Nel campo, sorvegliato da soldati tedeschi e repubblichini, veniva effettuata una visita medica decisiva ai fini dell'assegnazione al lavoro in Germania (spesso nei lager da cui pochi ritorneranno) o al lavoro sul fronte italiano al servizio dell'Organizzazione della Wehrmacht. Solo una piccola parte di prigionieri per età o per malattia poterono essere dichiarati inabili. Mentre l'equipe medica del dottor Antonio De Biase tentava di evitare ai prigionieri le destinazioni più dure, diverse organizzazioni caritative, dalla Pro.Rastrellati di don Giulio Salmi alla Croce Rossa, erano impegnate per alleviare le sofferenze dei rastrellati e rifugiare coloro che riuscivano a fuggire durante i trasferimenti o nella confusione dei bombardamenti. Molti fuggiaschi si nascosero presso famiglie contadine o presso ospedali e conventi di Bologna. Per chi non fu così fortunato da trovare la via della fuga, il futuro fu triste: la deportazione in Germania, i lager nazisti, la sofferenza. Per molti la morte. È in questa cornice che si fortifica la figura di un grande uomo, un simbolo del bene contrapposto alla banalità del male. Don Giulio Salmi, pochi giorni dopo l’ordinazione sacerdotale da parte del cardinale Nasalli Rocca, diviene il cappellano della Pro. Ra. (Pro Rastrellati), addetto al conforto di quanti, in attesa di essere deportati nei campi nazisti o costretti a lavorare per l'esercito tedesco sul fronte italiano, sono rinchiusi nel campo di smistamento delle Caserme Rosse.
Operando costantemente per la salvezza dei prigionieri, a rischio della vita, viene infine cacciato a calci dalle SS nell'ottobre '44, dopo che i tedeschi si sono accorti che le sue omelie contengono messaggi per i rastrellati e indicazioni per l'evasione. Più tardi otterrà nuovamente il permesso di portare conforto ai prigionieri concentrati nella caserma di artiglieria a Porta D'Azeglio. Anche lì non lesinerà il proprio impegno per sottrarre le vite umane alla deportazione e alla morte. Don Salmi, come tanti suoi fratelli di fede e di sacramento, riscattò quelle brutte pagine della storia della Chiesa che era rimasta silente di fronte alla tragedia dei campi di concentramento e di annientamento della popolazione ebraica e degli oppositori del regime, dimostrando così che il bene stava dalla parte della lotta al nazifascismo e non nel collaborazionismo. Una scelta di vita che carretterizzò tutta l’esistenza del sacerdote bolognese. Una scelta di campo maturata e rafforzata proprio in quegli anni difficili delle Caserme Rosse. Una scelta di campo effettuata da un’intera generazione di giovani che, insieme alle forze alleate, combattè per realizzare il sogno della democrazia e della Costituzione di uno Stato italiano fondato sull’inviolabilità della persona e dei suoi diritti, sul valore di cittadinanza senza preclusione di razza, di sesso, di religione. Uno Stato dove ogni cittadino conta per le sue idee, la sua personalità, la sua dignità di essere umano.
Quella vittoria nella guerra contro la ferocia dello stato dittatoriale ha portato ad una Costituzione i cui articoli 3, 33 e 34 affidano alla scuola la costruzione di un’etica pubblica condivisa. Rispettosa delle scelte e della cultura di ciascuno e nel contempo di dare a tutti una base culturale e professionale tale da affrontare un mondo in cui la conoscenza segna e segnerà sempre i maggiori livelli di inclusione ed esclusione sociale. Il carattere pubblico delle scuola italiana è slegato da ogni concezione pedagogica dello Stato essendo, al contrario, garanzia del pluralismo che profeticamente comprende non solo culturale e religioni, ma anche razze diverse. Garantisce, inoltre, ai suoi docenti la libertà di insegnamento. Sono passati 70 anni dalla violenza delle Caserme rosse. Si sono susseguite tre generazioni che hanno potuto vivere in Pace senza mai dimenticare i sacrifici dei propri padri e delle proprie madri, e senza mai dimenticare che nella nostra vita nulla vale per sempre e che ciò che è stato può ripetersi. La democrazia va sempre difesa ed il ricordo della sua conquista non può estinguersi per inedia o per disinteresse alle cose del mondo. Da domani tocca a voi, alla vostra generazione conservare ed ampliare i valori e la vita responsabile che i combattenti per la libertà ci hanno consegnato.

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