5 Dicembre 2013
Quelle riforme che vennero da lontano
Quelle riforme che vennero da lontano
Bologna, 5 dicembre 2013 – Inaugurazione mostra sul Centro-Sinistra
Intervento di Simonetta Saliera
Vicepresidente della Regione Emilia-Romagna
Buongiorno a tutti,
vi ringrazio molto per aver scelto di essere qui oggi e ringrazio soprattutto il Professor Guido Gambetta e l’Unversità di Bologna ed il suo Magnifico Rettore.
Questa importante mostra ha il merito di raccontare e far vivere visivamente una delle pagine più importanti della storia della democrazia italiana, ma anche una delle, colpevolmente, meno approfondite dai mass media. Quegli anni seguirono la fine post fascista dello Stato e furono l’inizio di un lungo cammino che portò all’elaborazione riformatrice dello Stato con idee che si trasformeranno in vere e proprie riforme fino negli anni ’70. “Da oggi ognuno è più libero”, titolò il quotidiano del Psi Avanti il giorno in cui, nel dicembre di 50 anni fa, Pietro Nenni, Giacomo Mancini, Antonio Giolitti, Giovanni Pieraccini e Achille Corona giuravano nelle mani del Presidente della Repubblica come ministri, ministri socialisti, del Primo Governo Moro. Dopo 16 anni i socialisti tornavano al governo. L’Italia, dopo i gravi fatti del luglio 1960, il tentativo di svolta autoritaria a destra frutto delle titubanze del Presidente Gronchi e delle ambizioni del Governo Tambroni, aveva definitivamente scelto il campo della democrazia e dello sviluppo sociale. E lo aveva fatto grazie soprattutto alla spinta delle piazze democratiche: Genova, Bologna, Palermo, Reggio Emilia con i suoi caduti per la democrazia. Era l’Italia che, grazie alla mobilitazione del Pci e dei sindacati, aveva detto no alla svolta a destra, aveva comunicato alla Dc che, terminata l’esperienza centrista, non sarebbe stato indolore passare a quella “grande destra” dal vago sapore franchista a cui pensavano parti del Vaticano, la grande industria e la grande finanza speculativa, e ampi settori dello stesso partito democristiano. La forza propulsiva della generazione dei ragazzi con le magliette a strisce costrinse il partito di maggioranza relativa ad archiviare le nostalgie scelbiane del “blocco d’ordine” e avanzare, non senza contraddizioni, sulla via tracciata dagli “amici di Moro e di Fanfani”. Fu una stagione lunga da un punto di vista temporale visto che l’esperienza dei governi di centro-sinistra durerà – sotto diverse forme – fino agli inizia degli anni ‘90, ma breve (anche se molto proficua) sul versante dell’impegno riformatore. Paradossalmente, il vero centro-sinistra fu quello che ancora vedeva i socialisti sulla soglia del governo, come pungolo dell’azione dell’esecutivo. È, infatti, indubbio che la spinta riformatrice del Psi fu molto più forte col III Governo Fanfani, quello che, per volontà dei socialisti di Nenni, del Pri di Ugo La Malfa e della sinistra democristiana che aveva nel sindacato il suo punto di forza, realizzò la nazionalizzazione dell’energia elettrica attraverso la nascita dell’Enel. Scelta che significava da un lato estendere la linea elettrica anche alle parti più fragili dell’Italia nel nome del principio di giustizia sociale, dall’altro ridurre il potere di pressione che i grandi gruppi finanziari e monopolisti proprietari delle vecchie centrali elettriche esercitavano sull’intero sistema politico). Lo spirito della Costituzione ispirò l’introduzione della scuola media unica obbligatoria pubblica con i libri di testo gratuiti, un abbozzo di programmazione economica e la decisione di applicare finalmente la Costituzione introducendo le Regioni, ovvero come ebbe a dire in più occasioni Guido Fanti, primo presidente della Regione Emilia-Romagna, “avvicinare lo Stato ai cittadini creando le condizioni di sviluppo ecomomico e sociale necessari a costruire finalmente una democrazia compiuta”. Le proposte di riforma del centro-sinistra godevano del sostegno di grandi intellettuali: da quelli di fede socialista riuniti attorno a Mondo Operaio, a quelli della sinistra Dc come i bolognesi Achille Ardigò e Luigi Pedrazzi. Una stagione intensa anche perché inquadrata in grande quadro internazionale: la distensione tra sovietici e americani frutto delle politiche di Nikita Crusciov e John Fitgerald Kennedy e il Concilio Vaticano II, figlio dell’intuizione e del coraggio di Giovanni XXIII. Una grande speranza che, però, come spesso avviene in Italia scivolò lentamente nello stallo.
Nella fanghiglia conservatrice di un Paese dove il grande capitale non ama la democrazia e l’uguaglianza. I motivi? Sempre e solo quelli. Da un lato la paura degli ambienti reazionari di questo Paese che si opposero fortemente all’allargamento delle basi della democrazia come dimostrato dai “dieci giorni del luglio 1964”, quando, come scrisse nei suoi diari Pietro Nenni, si sentì “un rumor di sciabole”. Nel cielo della politica italiana volteggiarono generali con il monocolo e il dossieraggio, fatto di indiscrezioni fatte trapelare a mezzo stampa, modo di fare che divenne una costante del ricatto nella vita pubblica. Dall’altro ci fu un l’opposizione che sempre la burocrazia (quella in carne e ossa che controlla “la macchina pubblica”) ha verso le riforme. Molte delle riforme volute dal centro-sinistra vennero lasciate marcire e impantanarsi perché, a partire da quella urbanistica tratteggiata dal ministro democristiano Fiorentino Sullo, rischiavano di toccare i nervi scoperti di interessi tanto ingenti, quanto potenti o quanto meno di irretire un Paese dove tutti ci si lamenta, ma lo status quo fatto di privilegi e piccole furberie va bene ad ampia parte del corpo elettorale. Quello di Fanfani, La Malfa, Nenni e Lombardi fu dunque un sogno tradito? O semplicemente vide lo spirito riformatore talmente annacquato dai dorotei e dalle cautele di Aldo Moro, che ben sapeva come sia fragile la democrazia sostanziale di questo Paese? Di sicuro tante speranze lasciarono, nel campo della sinistra riformista, spazio al rimpianto. Ma certamente il centrosinistra resta l’epoca italiana che ha rappresentanto la più rapida e grande avanzata di diritti civili e sociali:
- il decennio raccontato dalle foto di Pais che oggi andiamo a inaugurare hanno posto le basi delle grandi conquiste civili, frutto dei fermenti degli anni 70 sfociati nelle leggi sul divorzio, sull’aborto, sullo stato di famiglia (alle donne venne riconociuto di poter mantenere anche da sposate il proprio cognome: non eravamo più “pacchi” che passavano dalla dicitura del padre a quella del marito), allo Statuto dei Lavoratori (“La Costituzione che entra nelle fabbriche”, disse il ministro Donat Cattin).
- senza il centro-sinistra i ragazzi e le ragazze del ’68 che manifestavano per una società più libera, si sarebbero trovati di fronte la celere di Scelba, i suoi manganelli, le sue percosse.
Fu dunque, una stagione di grande speranza a cui tutti noi dobbiamo un giusto tributo politico e storico perché spiegò come, per usare le parole di uno dei suoi più acuti esponenti, il repubblicano Ugo La Malfa, “la soluzione della questione sociale non appartiene più alla dimensione della filantropia o dello spirito umanitario, ma rientra fra gli obiettivi di un nuovo modo di essere dello Stato, Stato che sfrutta tutti i mezzi pubblici e privati per distribuire il reddito e farlo affluire a tutti gli elementi utili della società, perché il progresso stesso della civiltà e della democrazia è sviluppo libero e illimitato della personalità umane”. Vi ringrazio per l’attenzione