26 Maggio 2010
Dialogo sulle città. Al femminile
Dialogo sulle città. Al femminile
Prima di tutto il futuro: lavoro, sviluppo, welfare
13 maggio 2010 - Sala Passepartout
Intervento di Simonetta Saliera
Vicepresidente della Regione Emilia-Romagna
Le nostre città negli ultimi 20 anni hanno subito una trasformazione profonda. Una mutazione dovuta essenzialmente a due differenti dinamiche: da un lato un significativo cambiamento della composizione sociale (penso agli immigrati, ma anche all’aumento degli anziani e alle famiglie formate da una sola persona non solo fra gli anziani), dall’altro perché è sempre più indotta l’atomizzazione individuale attraverso programmi televisivi ed i sistemi mediatici che oserei definire “di regime” e che tendono ad identificare il concetto di vita con quello di istantaneità.
Siamo di fronte ad un eterno “carpe diem” in cui si acuisce la solitudine e la competizione per la conquista di vacui trofei che nulla hanno a che fare con la crescita culturale e sociale delle persone e delle nostre comunità.
Non ci dobbiamo stupire se, dal 2001 a oggi, nelle rilevazioni demoscopiche dei principali istituti di ricerca europei i nostri giovani indicano costantemente nella solitudine uno dei principali problemi, una delle loro ansie più pressanti.
La nostra è una società sempre più sradicata e disgregata, dove assistiamo al predominio di un ego imperante. Parliamo troppo spesso al singolare e si viene sempre più indotti a dimenticare che ognuno di noi fa parte di una comunità nella quale nessuno può sottrarsi alle proprie responsabilità collettive.
Tanto che si ricorre sempre più al concetto di identità.
Identità sempre più circoscritta e frammentata. Ad esempio l’identità leghista, l’identità religiosa, l’identità di gruppo, l’identità nel tifo calcistico, rivelano lo stato profondo di crisi proprio del concetto di identità comunitaria, sociale e di appartenenza.
La città dovrebbe essere il luogo deputato a vincere il sentimento della solitudine, così come nei portici di Bologna si dovrebbero annidare i cunicoli della nostra identità.
Sottopongo a voi questo concetto di unitarietà da un punto di vista femminile che può farci superare questa crisi sociale delle più svariate solitudini o degli innumerevoli concetti identitari.
Più che di processi di identificazione in questo o quell’altro valore che potremmo definire tentativo primario di unità, io parlerei di processo per l’unitarietà, perché è un criterio complesso che fa i conti con molte possibili differenze e implica una volontà superiore nel comporre le diversità.
Per me questo vale non solo per i tempi grami che stiamo attraversando, ma anche per il futuro del nostro partito e vale ancora di più come amministratrice.
Si sta uniti, infatti, perché la si pensa allo stesso modo, perché si è uguali, ecc…., ma essere unitari significa consentire ai mille rivoli della nostra storia e della nostra società di confluire in un unico torrente o fiume finale.
Dall’autunno 2008 a oggi, questo già fragile tessuto culturale e sociale ha subito il disastroso terremoto della più grave crisi del secondo dopoguerra. Si tratta di una crisi finanziaria e di sistema che oserei definire da rivoluzione in quanto ha inciso profondamente sulla quotidianità delle persone, sta stravolgendo i modelli di vita, sta cancellando certezze che davamo per acquisite. Costringendo a rinunce e confermando come i ragazzi che oggi hanno 30 anni siano la prima generazione che vivrà peggio di quelle dei loro padri. E che hanno meno aspettativa e certezze del futuro.
L’atomizzazione della società da un lato e la crisi dall’altro con cassa integrazione, licenziamenti, chiusura di aziende conseguenti alla delocalizzazione, diminuzione delle tutele e dei diritti dei lavoratori come nel caso dell’art. 18 con l’introduzione del cosiddetto arbitrato, determinano realtà sconfortanti.
Una mancanza di senso comunitario che rende esagerato qualsiasi problema creato da una co-esistenza quasi coatta che crea sofferenza.
Si sviluppano fenomeni deteriori come l’individualismo egotico, la competizione che diventa violenza, l’isolamento del debole. In una situazione così fatta, seppur definita a grandi linee, e magari da approfondire durante la serata se di interesse comune, la condizione della donna viene sempre più posta al margine, sempre più indebolita, ma nel contempo sempre più importante e determinante per ricostruire le basi di una convivenza socievole e di una riaggregazione comunitaria a cominciare dal nucleo basilare del rapporto interpersonale.
Per invertire lo sfilacciamento dobbiamo investire di più nelle nostre comunità. E quando uso il verbo investire non intendo solo le risorse economiche, ma penso a precise politiche pubbliche destinate a sostenere la ripresa economica, la riconversione professionale, a rafforzare i nuclei famigliari, i nuclei convinventi, la cultura e favorire forme di associazionismo che inducono e creano la coesione sociale.
Purtroppo gli enti locali si trovano schiacciati tra una sempre maggiore richiesta di interventi da parte dei cittadini e le sempre minori risorse che arrivano dallo Stato centrale.
Questa sera siamo qui a discutere di lavoro, sviluppo, welfare. Sono i tre pilastri delle nostre comunità, sono i capisaldi del nostro modello sociale.
Purtroppo, da almeno due anni, da parte del governo abbiamo ricevuto solo brutte notizie: come è stato rilevato in un’approfondita ricerca pubblicata lo scorso settembre da Italia Oggi, nel settore della scuola i numeri sono amari: il ministro Gelmini ha previsto per il triennio 2009-2011 un taglio complessivo di 577 milioni di euro per il sistema dell’istruzione italiana. Numeri pesanti che riducono il ruolo della scuola pubblica.
I numeri diventano ancora più amari quando si guarda al campo della ricerca: sempre secondo Italia Oggi, Gelmini prevede una riduzione di 36 milioni di investimenti nell’importante settore della ricerca. Tagli pesanti, a cui la Regione Emilia-Romagna ha fatto fronte con proprie risorse per oltre 50 milioni nel settore dell’istruzione e 51 milioni per sostenere progetti di ricerca applicata che hanno tenuto a battesimo 860 nuovi progetti concreti.Stesso copione nel campo delle politiche sociali: nel 2009 la Regione ha stanziato 414 milioni di euro per il fondo della non autosufficienza (oltre 100 in più rispetto al 2008): una cifra più alta rispetto a quello che il governo Berlusconi ha stanziato per tutta l’Italia.
Per esempio i trasferimenti per il fondo nazionale per il sociale sono passati dai 47.317.000 euro del 2008 ai 36.555.000 euro del 2099 con una diminuzione del 22%; per il fondo nidi siamo passati dai 12.390.000 del 2008 ai 6.000.000 dell’anno scorso. Ancora peggio per il fondo famiglia crollato dai 6.600.000 del 2008 allo “zero” del 2009 con un taglio del 100%.
Il capitolo sul lavoro è quello che più dimostra l’insensibilità del governo: a fronte di una Regione che ha investito per impedire 20.000 licenziamenti utilizzando proprie risorse come forma di sostegno al reddito, il governo ha bloccato il rinnovo degli ammortizzatori sociali in deroga, con l’effetto che dopo l’estate, stante la situazione attuale, ci saranno diverse migliaia di lavoratori che quasi sicuramente perderanno il posto di lavoro.
Ancora peggio, se possibile, sul versante della casa: nel 2008, appena insediatosi, il governo Berlusconi cancellò i provvedimenti voluti da Prodi a sostegno dell’edilizia popolare e dell’affitto. A fronte di questo disinteresse governativo, invece, la Regione Emilia-Romagna negli ultimi cinque anni ha stanziato 326 milioni per accrescere l’offerta di 5.000 alloggi pubblici.
La situazione è dunque severa. Crisi economica e disgregazione della società rischiano di risucchiarci tutti in una spirale pericolosa.
È per questo che serve una nuova alleanza per lo sviluppo. Non si tratta solo di difendere ad oltranza l’esistente, ma di ragionare insieme per individuare quali nuovi settori produttivi, quali nuove filiere possano essere il volano per la ripresa. In concertazione con sindacati, associazioni imprenditoriali e cooperative, l’amministrazione pubblica deve individuare quali fra questi ambiti (Green economy, tutti i settori della ricerca, le nanotecnologie) possono diventare volano per la creazione di nuovi posti di lavoro.
È questa, penso, la sfida che ci attende nei prossimi anni. Una sfida difficile, ma dal cui buon esito passa il rinnovo del nostro patto di cittadinanza. E lo sviluppo delle nostre comunità.