13 Giugno 2012
Così costruiamo la legalità
Così costruiamo la legalità
13 giugno 2012 – Presentazione della Ricerca di Enzo Ciconte
sulla mafia in Emilia-Romagna
Intervento di Simonetta Saliera
Vicepresidente della Regione Emilia-Romagna
Buon pomeriggio a tutti,
il lavoro che presentiamo oggi è il risultato di oltre un anno di attività di ricerca che ha avuto l’obiettivo di aggiornare il quadro delle nostre conoscenze sulle infiltrazioni del fenomeno mafioso in Emilia – Romagna. Presentiamo questo lavoro alla comunità regionale e abbiamo invitato a discuterlo con noi persone la cui competenza e il cui impegno istituzionale in questo campo è ampiamente riconosciuta. Ringrazio il Procuratore della Repubblica di Bologna Roberto Alfonso, il Presidente di Avviso Pubblico Andrea Campinoti, e il Presidente del Fisu, Giorgio Pighi. Non partivamo da zero: a più riprese, a partire dalla fine dagli anni ’90, il Servizio Politiche per la sicurezza e la polizia locale ha pubblicato e reso fruibili alla comunità regionale i risultati di queste ricerche, contribuendo così a creare una conoscenza comune e diffusa su quanto accade nella nostra regione.
Alla attività di ricerca e di analisi si è affiancata negli ultimi due anni una intensa attività legislativa, prima con la legge del 26 novembre 2011 n. 10, che è intervenuta nel settore degli appalti e della legalità nell’edilizia privata, e successivamente con la legge n. 3 dello scorso 9 maggio 2011, che ha coordinato numerose attività regionali, e istituito strumenti per la collaborazione con gli enti locali, le scuole, le Università e le altre pubbliche amministrazioni del territorio. Da quest’ultima legge, come probabilmente ben sapete, è scaturita una vasta attività sul territorio, che coinvolge oggi oltre 200 comuni della nostra regione, 5 università e 5 scuola, oltre a 8 progetti di rilievo regionale curati da associazioni di volontariato, parecchie migliaia di studenti, di operatori del settore, di cittadini coinvolti nelle numerosissime iniziative di educazione alla legalità distribuite in tutto il territorio regionale. Con questa legge da un lato stiamo sostenendo e rafforzando attività che già si facevano in modo più sporadico e meno coordinato; dall’altro abbiamo dato impulso a nuove attività come per esempio nel recupero dei beni confiscati. Era nostro obiettivo produrre un testo normativo che non fosse solo una enunciazione di principi, ma che desse corpo e gambe ad attività concrete a favore dei cittadini della nostra regione. E così è successo, come dimostrano i dati di attuazione della legge stessa.
Un impulso nuovo e forte, quindi, che ha l’obiettivo principale di rinforzare le difese che questa regione storicamente ha avuto di fronte al fenomeno mafioso, utilizzando interventi preventivi a diversi livelli. Anche la ricerca che presentiamo oggi si inserisce nel quadro delle attività previste dalla legge, in particolare nelle funzioni di osservatorio che vengono assegnate alla regione. Da questa ricerca e dai suoi risultati, infatti, partiremo per fondare in modo continuativo una attività di rilevazione sistematica e di monitoraggio dell’evolversi del fenomeno, che possa fornire alle nostre politiche regionali un fondamento di conoscenza indispensabile. La ricerca, che ci verranno illustrati nel dettaglio da Enzo Ciconte e che gli ospiti di oggi ci aiuteranno a capire e interpretare meglio, ve ne sono alcuni su cui vorrei soffermarmi in questo apertura dei lavori. In primo luogo la storica diversità della nostra Regione. Abbiamo bisogno di ragionare a fondo su questa diversità e su cosa oggi essa significa. Questa diversità oggi – e la ricerca ce lo evidenzia - può intendersi in due sensi. Uno, già conosciuto e più ovvio, che distingue l’esperienza dell’Emilia – Romagna dalle regioni a insediamento tradizionale, il secondo è invece rappresentato dalla diversità della nostra regione nel contesto delle aree del Nord. Se capiamo meglio gli elementi distintivi della diversità, sapremo meglio difenderla e consolidarla. La ricerca di Ciconte dimostra che permangono quelle caratteristiche, già riscontrate in altre ricerche e più volte riconosciute anche dagli organi inquirenti e investigativi, di difficoltà di penetrazione e forte radicazione del fenomeno mafioso nella nostra regione. È confermato d’altra parte che in Emilia – Romagna, in alcuni settori e aree, esiste una presenza significativa della ‘Ndrangheta e della camorra (mentre la presenza di Cosa nostra è più irrilevante), ma non esistono forme di controllo capillare del territorio né condizionamenti della politica locale, se non con alcune eccezioni che nella ricerca vengono descritte, e che sicuramente Enzo Ciconte ci illustrerà nel dettaglio. E questo ci differenzia non solo dalle regioni a tradizionale insediamento mafioso, ma anche da altre aree del Nord. Ciò che ha protetto questa regione fino ad ora, come ricordano anche gli esperti citati nella ricerca, sono esattamente le caratteristiche del contesto ambientale, sociale, culturale e storico emiliano – romagnolo e si possono riassumere in questi elementi:
- minore permeabilità della imprenditoria locale
- strutture amministrative meno corrotte e corruttibili
- ceto politico poco permeabile
- resistenza culturale della società civile
Vediamo meglio questi fattori di diversità: la minore permeabilità della imprenditoria locale, per esempio. Il nostro tessuto economico è fondamentalmente sano, ci ricorda Ciconte e la convergenza di interessi tra imprenditori e mafiosi sulle attività criminali è ancora limitata. Ci sono eccezioni, alcune macroscopiche, come i casi Cirio e Parmalat, altre minori.
Capire meglio come e perché si creano sodalizi tra imprenditoria sana e mafiosi ci aiuta a sottrarre ai mafiosi stessi le opportunità di cui sono alla ricerca per espandersi nel nostro territorio. Sottrarre opportunità, non lasciare che le organizzazioni mafiose occupino spazi vuoti, cioè dove manca sostanzialmente l’intervento delle istituzioni, impedire che l’imprenditoria sana trovi più vantaggioso fare affari con la mafia: questo deve guidare il nostro impegno negli anni futuri. Una altro elemento di diversità, collegato al precedente, è che la mafia nei nostri territori non riesce ad estendere e condizionare in maniera massiccia il comportamento di imprenditori locali. Lo dimostra il fatto, documentato abbondantemente nella ricerca, che la maggior parte delle vittime di estorsioni e di forme di controllo mafioso sono coloro che provengono dalle stesse aree geografiche degli indagati. Un fatto che viene spiegato con la maggiore debolezza degli imprenditori conterranei, che conoscono la forza dell’intimidazione mafiosa, e che conferma la “ostilità” – in genere - del mondo imprenditoriale locale. La mafia, insomma, riproduce anche in ER alcuni dei suoi comportamenti più tipici, ma tende a mantenerli limitati a gruppi che conoscono la cultura mafiosa e la subiscono silenziosamente. È un bene e un male nel contempo. È una piaga viva che al momento non si espande. Gli altri fattori “protettivi” sono rappresentati, come si diceva, da una pubblica amministrazione meno corrotta e corruttibile e dallo scarsa capacità di controllo dei politici. Quest’ultimo è un aspetto fondamentale. La mafia sfonda in un territorio quando riesce a controllare settori vasti della politica locale. In Emilia – Romagna, la ricerca lo evidenzia, il contatto con la politica è più evanescente e appare sporadico, non strutturato. Anche se sono numerosi i casi di atti intimidatori verso politici della nostra regione, sindaci in particolare, ma anche esponenti di partito senza cariche amministrative. Questi fatti, anche recenti, indicano da un lato che l’aggressione mafiosa rischia di farsi più violenta anche in Emilia – Romagna, ma è anche la dimostrazione della capacità di resistenza della politica locale. Infine, la resistenza culturale della società civile. Secondo alcuni, questo aspetto ha anche rappresentato una debolezza, perché avrebbe consentito alla mafia di radicarsi proprio perché le nostre comunità non la conoscono e quindi non ne colgono la presenza o addirittura la sottostimano, ritenendola impossibile in questa realtà. Così è stato in passato. Oggi, però, mi pare evidente che questo rischio non sia più presente e che le importanti sollecitazioni che vengono date alla società civile in questi ultimi anni rinforzeranno l’aspetto positivo – e non quello negativo, della sottovalutazione – della resistenza delle nostre comunità. In Emilia Romagna le organizzazioni mafiose non hanno guadagnato legittimazione e consenso, non hanno costruito un proprio capitale sociale e se continuiamo la nostra azione con la stessa insistenza che ci ha caratterizzato fin ad ora credo che riusciremo a frenare i tentativi della mafia di costruire meccanismi di consenso sociale e di legittimazione. Ci sono però anche fattori importanti di vulnerabilità e qualche segnale di cambiamento.
Questi “anticorpi” non hanno protetto completamente, come ben sappiamo, la nostra regione, ma hanno costretto le organizzazioni mafiose ad adottare meccanismi di infiltrazione diversi da quelli usuali, a rendersi assai più invisibile e quindi anche più difficilmente decifrabile. La loro azione si confonde spesso con quella di operatori che si muovono nella legalità. ‘Nranghetisti e casalesi, le due organizzazioni più forti in ER, puntano entrambe alla mimetizzazione sociale, a non richiamare l’attenzione e a passare inosservati, sapendo di muoversi in “terra nemica”, come dice Ciconte. Inoltre, i clan hanno ancora bisogno di quelli che Ciconte ha definito tempo fa gli “uomini-cerniera”: esponenti del modo professionale locale che favoriscono le relazioni dei clan mafiosi con il contesto locale. Siamo di fronte ad uno scambio che Ciconte ci ha ben descritto anche in passato: l’organizzazione mafiosa mette a disposizione le risorse economiche e la reputazione, i soggetti criminali locali mettono a disposizione le conoscenze del territorio e le informazioni di cui dispongono. Anche questo è un settore di lavoro importante per la Regione, ed è qui che si deve costruire una grande alleanza tra le istituzioni e i mondi delle professioni. Le organizzazioni mafiose si adattano ai contesti in cui si muovono, anche se permangono alcune caratteristiche strutturali rigide. Nella nostra regione un fattore attrattivo, lo sappiamo bene, è stato quello della ricchezza e della disponibilità di opportunità economiche. Ma anche il suo contrario – e questo dimostra appunto l’adattabilità mafiosa ai contesti – cioè la crisi economica rappresenta una situazione di vulnerabilità. Le mafie non se ne vanno di fronte ad un contesto economico non più così fiorente come un tempo, ma cercano anzi di trarre vantaggio comunque dalla nuova situazione che facilita l’uso del capitale sporco per entrare in aziende in crisi di liquidità riciclandolo. Aprendo così varchi all’ingresso nella società. Quanto Ciconte descrive in relazione ai fenomeni dell’usura e del recupero crediti, oltre alle acquisizioni sospette di imprese in crisi, ci conferma in questa preoccupazione. Ciconte usa il termine efficace di “esproprio mafioso” per indicare che in alcune aree della regione i clan sono riusciti ad acquisire imprese e patrimoni sfruttando le difficoltà economiche di imprese prima non legate al mondo mafioso. La ragione di questo “esproprio mafioso”, viene chiaramente indicata da Ciconte nella inadeguatezza del sistema bancario e nella scarsa protezione offerta dalle organizzazioni d’impresa: il sistema economico e bancario locale, dice Ciconte, non ha voluto o saputo trovare risposte per gli imprenditori in difficoltà, che si sono così consegnati alla mafia senza che questa dovesse utilizzare la violenza. Anche qui la ricerca ci offre una pista importante da seguire per contrastare con più efficacia il radicamento dei clan in Emilia – Romagna. È un tema aperto, ma è nostra convinzione che dove esistono forme ancora forti di regolazione efficace, anche e soprattutto territoriale, dell’economia e delle relazioni sociali la mafia faccia molta più fatica a radicarsi ed espandersi. Oggi l’Emilia – Romagna ha una occasione storica per confermare la sua diversità. Una occasione che nasce purtroppo da una tragedia come quella del terremoto. Leggendo queste pagine, i nomi dei paesi citati sono spesso gli stessi nomi di paesi oggi colpiti gravemente dal sisma dello scorso maggio. Il Presidente della Regione Emilia – Romagna Vasco Errani ha già annunciato, nei primi giorni dopo il terremoto, che in questo momento di particolare vulnerabilità di un’area importante anche sotto il profilo economico e che andrà incontro ad una fase lunga e complessa di ricostruzione, i rischi di una infiltrazione mafiosa sono forti più che mai. Siamo pronti a dare il nostro contributo, insieme alle altre istituzioni statali e ai comuni colpiti, affinchè questo momento difficile della nostra comunità regionale non si riveli in futuro un’occasione per i clan mafiosi.
Servono sguardo lucido ed attento, fine capacità d’ascolto, continua informazione ed aiuto alla volontà di denuncia, a volte traballante, copertura del territorio con tutti i mezzi a disposizione, ed un aiuto da parte della Dia e della Procura per la formazione specifica della polizia municipale e per amministratori e strutture tecniche addette alle gare d’appalto per il risanamento e la ricostruzione per quei territori già così devastati. È il momento per dimostrare che i nostri “anticorpi” non sono solo uno slogan buono per un comunicato stampa, ma una realtà.