Interventi

25 Aprile 2012

25 aprile 2012 a Lugo

25 aprile 2012 a Lugo
 
Lugo - 25 aprile 2012

Intervento di Simonetta Saliera

Vicepresidente della Regione Emilia-Romagna

 

Signor sindaco

Partigiani e amici dell’Anpi

Autorità militari, civili e religiose,

Cittadini di Lugo

ho accolto con piacere, l'invito del vostro sindaco a celebrare il sessantesettesimo Anniversario della Liberazione in questo Comune decorato con medaglia di Bronzo al Valor Militare e segnato da numerosi cippi, lapidi e monumenti in memoria dei propri morti. Molti giovani a cui noi tutti dobbiamo tanto, anche il nostro presente.

Giovani come Luigi Ballardini, 18 anni

come Renzo Berdondini, 17 anni

Giovanni Dalmonte, 18 anni

Domenico Minghi, 20 anni

Carlo Landi, 20 anni

Floriano Montanari, 23 anni

Gianni Montanari, 17 anni

La colpa? Erano partigiani;

come Giorgio Folicaldi che a 15 anni fu torturato, seviziato, ma seppe sopportare con coraggio eroico, senza tradire, senza parlare. Il coraggio che era mancato a quei tanti italiani che negli anni ’20 e ’30 avevano aderito entusiasticamente al regime fascista pensando alle prebende, ai privilegi, agli agi che la tessera del Partito Nazionale Fascista avrebbe portato loro. La nostra democrazia è sancita da una Costituzione che non poteva dimenticare i milioni di morti, il rivolgimento radicale del mondo, il tramonto delle grandi culture europee, le deportazioni, il razzismo, lo sterminio di massa, la necessità e l’aspirazione di nuove forme di solidarietà e la messa al bando della guerra. Una Costituzione nata dalla Resistenza e dalla guerra di Liberazione, dal ricordo dei propri deportati, dei propri partigiani, dei propri militari uniti tutti nel non volere più né fascismo né nazismo, a costo della propria vita, a costo delle stragi e delle barbare rappresaglie naziste. Una Costituzione che sancisce l’Italia come una “Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Una Repubblica scelta dal voto libero del popolo italiano, degli uomini e, per la prima volta nella storia, delle donne.
Una Repubblica che proprio in questa parte d’Italia ebbe i consensi più alti di tutta la penisola: quasi l’89% di voti nella Provincia di Ravenna, che si conferma come la più repubblicana delle province della Repubblica d’Italia.  È su questa scelta che si basa l’identità dell’Italia libera.  Ed è per questo che si può realmente parlare di valori fondanti.  Dire perciò che la Costituzione nasce dalla Resistenza non è un espediente retorico, né una frase fatta, ma il semplice riconoscimento della realtà. Così come è il semplice riconoscimento della realtà ricordare come il movimento di Liberazione ebbe un carattere corale e si alleò a quell’unione mondiale di forze che sconfisse definitivamente il nazismo e portò l’Italia a vivere con pieno diritto nell’epoca del dopo Auschwitz, del dopo Dachau, del dopo Fossoli. Quell’alleanza è durata lo spazio di una breve stagione, ma fu sufficiente perché potessero sopravvivere in Italia le ragioni irriducibili della libertà sulle macerie d’Europa e dopo che gli ultimi camini dei campi di sterminio avevano finito di fumare. Una Costituzione che seppe prevalere su quegli eventi di immani proporzioni e sulle forti diversità ideologiche in cui si contrapponevano le varie forze politiche, tanto che tutti furono spinti, al di là di ogni interesse e strategia particolari, a ricercare nella Carta fondamentale per la convivenza, una convergenza ragionevole ed equa in cui ogni cittadino si potesse riconoscere. Per questo si può ben affermare che la Costituzione italiana è nata da quel crogiuolo di idee, di contrasti, di diversità, di emozioni tali da darle l’impronta di una Carta dallo spirito universale ed in qualche modo extratemporale. Negli ultimi anni c’è stato chi più o meno ostentatamente non era presente alle celebrazioni del 25 aprile o ne è rimasto ai margini. Così come c’è stato chi ha voluto sminuire se non proprio eliminare l’apporto della lotta partigiana alla nostra Liberazione ed attraverso i Cln Comitati di Liberazione Nazionale all’inizio della ricostruzione istituzionale democratica del nostro Paese. Ma a costoro rispondono ancora una volta la semplicità e la incontestabilità dei fatti. Se l’Italia non è diventata, in quegli anni, una Jugoslavia, se non ha vissuto un dopoguerra lacerante come la Grecia, se non fu smembrata come la Germania, se non subì governi militari di occupazione come il Giappone, se ha potuto scegliersi lo Stato Repubblicano e la sua Carta Costituzionale anziché vedersela imporre come il Giappone e la stessa Germania dei Lander, ci sarà pur stato un motivo, una ragione storica che ha consentito il suo realizzarsi. Quasi quasi non ci si ricorda nemmeno più che questo sia avvenuto.
 Il motivo è rappresentato dalla ricompensa dovuta a quel popolo, il cui movimento di Resistenza e ribellione all’oppressione che, fra angosce, paure, contraddizioni, trovò il coraggio di intraprendere la lotta per la propria Liberazione, per l’affermazione del diritto,  per la ritrovata speranza del prevalere della responsabilità, della saggezza, della giustizia, della politica fondata sull’etica pubblica e sulla moralità privata sia essa laica che religiosa. La memoria e l’oblio non sono termini neutrali. Rappresentano campi di contrasto in cui si decide, si configura e si legittima la propria identità e ciò vale in particolar modo per quella collettiva.

NOI VOGLIAMO RICORDARE

L’elisione dei ricordi traumatici, l’eliminazione dei sensi di colpa, la cancellazione dei propri comportamenti tendono ad attribuire rilevanza diversa e dare criteri omogenei alle azioni compiute. Cosa questa, che non risponde né alla realtà, né alla verità.

Si è combattuto per la libertà.

Si è combattuto per la dittatura.

Si è combattuto per la giustizia.

Si è combattuto per i campi di sterminio

Ciò che avvenne dal 25 luglio all’8 settembre del 1943 ne fu un discrimine decisivo. Di fronte alla dissoluzione del fascismo, un re balbettante destituì e fece arrestare il Capo del Governo Mussolini. Nominò al suo posto il maresciallo Badoglio. In quei 45 giorni pieni di ambiguità e indecisione si consentì alle armate tedesche di varcare i passi alpini ed occupare tutto il nostro Paese. Hitler liberò Mussolini e lo insediò a capo della Repubblica di Salò. Il re abbandonò Roma per rifugiarsi a Pescara. L’Italia si divise profondamente, fisicamente e politicamente: un re, un primo ministro di nomina reale, un capo di stato di nomina hitleriana, l’esercito alleato che sbarcava in Sicilia e che cominciava la lunga guerra di risalita della nostra Penisola. In quel frangente furono in molti a dover decidere con chi stare, cittadini e militari. Per i militari che rifiutarono l’adesione alla Repubblica di Salò e al fascismo, ci fu la deportazione nei campi di concentramento tedeschi, ci fu la morte immediata in combattimento o per fucilazione come per la Divisione Acqui di Cefalonia ci fu la fuga ed il reclutamento fra i gruppi partigiani storici che già operavano. Infine, ci fu per altri l’arruolamento nel Corpo Italiano di Liberazione aggregato alle forze mondiali alleate contro il nazifascismo. Badoglio in quel momento era il legittimo e legale rappresentante dello Stato Italiano, seppur di nomina sabauda non certo neutrale verso il ventennio fascista. Molti civili rifiutarono la chiamata alle armi della Repubblica di Salò, il cui capo era stato destituito da primo ministro del Governo italiano ed insediato da una potenza straniera seppur fino a qualche mese prima alleata. Molti si dettero alla macchia, altri cercarono i gruppi di azione partigiana e combatterono per liberare il Paese, per una nuova Italia. Molti furono fucilati come renitenti alla leva, una leva illegittima. Altri aderirono e decisero di battersi al fianco dei tedeschi e di un capo fascista che non aveva più nessuna autorità istituzionale. Combatterono, per scelta, a favore dell’ideologia della dittatura nazifascista. È per questo che quelle scelte, ancora oggi, non possono essere poste sullo stesso piano, pur nell’umana pietà che si deve a ogni defunto.

Carità e pietà sì!

Giustificazionismo su uguali motivazioni morali ed ideali certamente no!

Senza odio, né rancore per

QUESTO VOGLIAMO RICORDARE

senza creazione di miti, senza demagogia, senza sollecitazioni epidermiche, senza umiliazioni. Ricordare è un modo per reagire alla più pericolosa delle tendenze: quella che rimuove e nasconde la realtà. Quella che sottovaluta il pericolo della dispersione, voluta e progettata, di tanti piccoli semi di senape nei campi non coltivati dalla cultura democratica, nei campi di chi devasta i monumenti, i cippi ed i simboli del nostro diritto alla libertà e alla democrazia. Il ricordo non si limita a dare ragione ai valori della lotta partigiana (condotta dalle Brigate garibaldine, Giustizia e Libertà,  Mazzini, Matteotti, Fiamme Verdi) alla conquista di libertà, di tolleranza, di civiltà, di scelte di campo che quei valori hanno consentito, ma, anche a riflettere, a metterci in discussione, a capire ciò che in tutti questi travagliati anni si è succeduto, a percepire il futuro. Per evitare la ripetizione di autentiche paure, per evitare il riprodursi di uno sciagurato passato che la storia ha già giudicato in tutte le sue pieghe, è necessario, è indispensabile questo continuo ritorno della memoria, questo continuo viaggio della mente e della ragione fra passato e presente, fra passato remoto e futuro imminente. Il passato è sempre con noi, la sua sorte dipende dalla decisione del presente di rimuoverlo o di assumerlo. Se la memoria individuale, sociale, collettiva non cucisse instancabilmente la successione degli avvenimenti, gli episodi della nostra vita e delle nostre genti ci apparirebbero sempre come fatti nuovi, come spettacoli mai visti, come apparizioni senza alcuna relazione fra loro, come idee mai prima sentite. La mancanza di memoria cancella ogni possibilità di orizzonte, toglie il fondamento dell’attualità della nostra vita e rende possibili inammissibili affermazioni come quelle che vogliono dare fondamenta nuove ad un presente che pare non averne più di proprie. Questo tentativo mi sembra sprezzante, inammissibile e politicamente primordiale.

Solo Dio può vivere in un eterno presente.

La Resistenza è stata il perno morale e ideale di una lotta che ha messo nelle mani degli Italiani la possibilità di costruire il proprio destino. Prima con il referendum Repubblica/monarchia e poi con un’Assemblea costituente che ha prodotto quel documento unificatore con il cui viatico abbiamo attraversato la guerra fredda, siamo cresciuti, abbiamo cambiato pelle. Il Paese ha vissuto cambiamenti senza precedenti nella sua struttura ed è salito nel novero ristretto delle nazioni più industrializzate. Da Paese di emigranti in cerca di lavoro ed in fuga dalla povertà siamo diventati porto di arrivo di immigrati che scappano da miserie secolari, da guerre, da dittature. La Costituzione ha consentito e accompagnato l’evoluzione dell’Italia nella libertà, nello stato di diritto, nella giustizia. Ma siamo passati attraverso prove severe in questi ultimi 67 anni. Fino ad oggi, il vaccino antiautoritario, in essa contenuto, ha sempre aiutato le Istituzioni a mantenersi salde e unite nell’impegno di salvaguardare

-          la democrazia

-           la libertà e il futuro del Paese

-          e la speranza, comunque, di riuscire a migliorarsi e mantenere integro e robusto il sentimento di identificazione comunitario dei nostri cittadini.

PER QUESTO VOGLIAMO RICORDARE

Perché negli ultimi anni stiamo assistendo ad un progressivo avvelenamento dei rapporti sociali, ad un diffuso attacco al mondo dei diritti della persona e alla dignità del lavoro, all’aumento esagerato della diseguaglianza economica fra ricchi e poveri, dove la ricchezza è diventata intoccabile come nella società del medioevo.

Tanto è vero che:

Assistiamo quotidianamente all’affermarsi di comportamenti che non cercano la qualità della convivenza, ma la oltraggiano fino a metter in discussione la stessa democrazia.

Sappiamo bene, infatti, che essa ha difficoltà a sopravvivere in una società in cui si disprezza

-          la politica,

-           la gestione del bene comune,

-          la partecipazione democratica dei cittadini,

-          e in cui non si avverte più come necessaria nessuna convergenza comunitaria e dove gli interessi prevalgono su tutto.

Sono anni in cui molti italiani si sentono autorizzati e incoraggiati a far uso di espressioni violente, volgari, offensive dell’altro, a disprezzare qualsiasi regola a concedere spazi alla corruzione e al discredito delle Istituzioni. Non ci si ascolta più, ma ci si urla contro sopraffacendo con il dileggio, gli schiamazzi e le grida, la sostanza della riflessione e dei ragionamenti. Sono tutti atteggiamenti che erodono lentamente le basi del civile vivere comune.

 NOI NON DIMENTICHIAMO

che questo è già avvenuto nella nostra storia.

PER NON DIMENTICARE

Vogliamo ricordare il debito di onore

di sangue

di civiltà

di riconoscenza

che dobbiamo alla Lotta di Liberazione:

-          per lo Stato Repubblicano che ha contribuito a fondare

-          per la società libera che ha consegnato alle nostre generazioni

-          per i principi di giustizia e di equità sociale che ci ha trasmesso

-          per l’affermazione che in politica non deve mai prevalere l’odio per l’avversario

-          per l’insegnamento che a ogni generazione spetta la sua fatica

Tocca a noi, oggi, riscattare

-          il senso alto e l’idealità della politica;

-          l’etica democratica della nostra Costituzione;

-          i valori morali a cui ci si deve ispirare nella gestione della cosa pubblica;

-          il prevalere della cultura sulla forza

-          la dignità della vita di ogni persona

-             tocca a noi condannare chi mette in discussione l’eroismo di quei giovani che oggi si vogliono dileggiare con atti vandalici

NOI NON LO DIMENTICHIAMO.  ENON LO VOGLIAMO DIMENTICARE

 

Desidero concludere con un attualissimo e profondo ringraziamento per tutti coloro che hanno avuto la forza, il coraggio, la disperazione d’intraprendere la lotta partigiana e la guerra di Liberazione.

Grazie, grazie, grazie

Viva la Costituzione

Viva l’Italia libera e giusta

Viva la Repubblica democratica fondata sul lavoro

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